Vi sono due modi diversi, ma ugualmente importanti, per accostarsi alle opere di un artista. Quello storico-biografico, lo delinea nel percorso culturale, sociale, ambientale ed, in senso più ampio indaga sulle sue relazioni con le correnti artistiche del suo tempo. L’altro concentra la propria riflessione, su l'oggetto d'arte, su quell’arte, la sua, che attraverso una serie d’invenzioni formali, porta a discutere sul significato universale d’arte. La contaminazione tra l'una e l’altra è difficilmente evitabile, cosi che, spesso, diventa abitudine ridurre l'opera agli elementi psicologici dell'artista. Si distoglie l'attenzione dall'opera che, invece, esiste per se stessa, travalica la storia e la vita dell'autore, il quale, dando forma ad un nucleo misterioso - sogno, archetipo - illusione di potenza - ha fatto il massimo in suo potere e, come strumento della sua opera, ha esaurito il suo estremo narcisismo. Se un punto di contatto esiste tra i due modi è da ricercarsi nel significato universale che l’oggetto. Quando è arte, possiede; stabilisce quella rara “necessità” comunicativa, quel passaggio di senso che la rende riconoscibile, lo rende godibile agli altri, ai modelli culturali del momento storico in cui l’artista vive. Senso e significato, in ogni modo non cristallizzato, mai definito.
Lo scultore Roberto Tagliazucchi nelle sue rare dichiarazioni d’estetica può citare Cubismo e Futurismo, scomposizione e simultaneità, può eleggere Brancusi totem della scultura contemporanea, può, ancora, ammirare l’essenzialità tematica di Moore, ma non riuscirà, compiutamente, per fortuna, a giustificare la sua totale mancanza d’omologazione con tendenze, modelli, autori, regole accademiche. La sua “scienza” speciale gli permette di dinamizzare spazi, assorbire e rimandare luce, uscire ed entrare liberamente dall’oggetto. L’opera non ha, così, una veduta preminente, ne ha tante e ciascuna è quella “giusta” nel momento in cui la si osserva. L’artista può ancora raccontare la sua poesia attraverso le metafore, i miti e le passioni che lo agitano: è un uomo di un tempo fragile, in lotta con la materia, in un tempo di fine secolo, non placato, dove, tra macerie reali, tenta di rendere visibile a se stesso ciò che fugge, tenta l’impresa visionaria del viaggio dal reale al possibile. Il suo “umanesimo” diventa figura la cui forma trattiene qualcosa della molteplicità di ciò che per convenzione si chiama storia, realtà, ambiente. Difficile per chi è già metamorfosi. Il bisogno di narrazione e di “letteratura” che chiediamo all’arte non riusciranno mai a farci possedere per intero il paradiso perduto o ritrovato di “Sognando”, il vitalismo di “Nathalie”, la rispondenza ancestrale del “Joueur de flute”, l’ostinata determinatezza di “David”
Però, forma e idea, le due anime indissolubili dell’arte hanno trovato la loro empatia. In questa mostra il cui “attraversamento” porta ad un’anima prevalentemente mediterranea, “l’archetipo della terra” e “l’archetipo del cielo” sono gli interpreti obbligati, l’uno con la sensualità, la fisicità, lo smembramento, la frantumazione, l’altro con il siderale, l’assoluto, il bisogno d’infinito. Tra di loro ci sta Eros, ci sta l’arte e la sapienza di Roberto Tagliazucchi che ha reso possibile la “bellezza” della contraddizione:
Gennaio’98 Giovanna Riu